Due chirurghi in paradiso

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 26 settembre: Santi Cosma e Damiano (III secolo), guaritori gratis

(Beato Angelico)

Ho cominciato a tirar giù i santi da novembre, tra un po' è ottobre. Ormai mi sono tagliato tutti i ponti alle spalle. Ne ho presi in giro più di trecento, e quando poi avrò bisogno di qualcuno di loro, a che altare piangerò? Chi non mi volterà le spalle? Cosma e Damiano, per esempio, dovrei proprio trattarli con riguardo. Oltre a essere santi di una certa importanza, sono anche dottori: e le leggende che li riguardano mettono in chiaro che non guarivano coi miracoli, perlomeno non necessariamente, ma con la scienza medica che lo Spirito Santo aveva loro ispirato a studiare. 

C'è anche un'altra particolarità che li rese popolarissimi in età tardoantica, e che dovrebbe ispirarmi una certa deferenza: erano medici anargiri – ovvero curavano a titolo gratuito. Questo è il vero miracolo: il diritto alla salute, che avrebbe ispirato una serie di servizi di quella che oggi chiameremmo pubblica assistenza. La basilica di Cosma e Damiano a Costantinopoli era una specie di pronto soccorso, in cui i malati entravano senza pagare e venivano curati e operati di notte, nel sonno (di che tipo di sonno si trattasse non lo sappiamo: la speranza è che qualcuno avesse già scoperto le virtù anestetiche di qualche estratto vegetale, qualcosa che ti impediva di svegliarti mentre ti tagliavano un'appendice o una gamba).

Tanto ferreo era il loro proposito di curare senza lucro che un giorno litigarono perché Damiano aveva accettato tre uova da una paziente, tale Palladia. Ai rimproveri del collega (secondo alcune fonti era suo fratello), Damiano spiegò che aveva accettato le uova per non offenderla, ma Cosma non volle sentire ragioni e dichiarò che non intendeva essere sepolto insieme a Damiano. Forse presentiva già il martirio, che sarebbe sopraggiunto ai tempi di Diocleziano imperatore, con una certa fatica perché nessun supplizio sembrava funzionare contro i due medici: le pietre rimbalzavano, il fuoco non si appiccava, le frecce rimbalzavano sul plotone degli arcieri, il forno non li cuoceva, il fiume in cui provarono a gettarli non li inghiottiva, così alla fine li decapitarono. I discepoli che riuscirono a recuperare i loro resti, memori delle volontà di Cosma, caricarono il corpo di Damiano su un dromedario per seppellirlo lontano dal collega, ma il dromedario si rifiutò, dicendo: Nolite eos separare a sepoltura, quia non sunt separati a merito, ovvero: non vogliate separare con la sepoltura coloro che non sono separati dal merito – precisamente, il dromedario parlò. È un miracolo. Lo riporto per dovere di completezza, tal quale si trova scritto nella predella della pala di San Marco del Beato Angelico, non ho intenzione di farci qualche facile ironia, voi magari avete una salute di ferro e la vostra Ausl funziona che è un piacere, ma io non posso permettermi di fare ironia su Cosma e Damiano. 

Costoro continuarono a fare miracoli anche dopo la morte, e in particolare ebbero un soprassalto di popolarità nel sesto secolo, quando Giustiniano si convinse di essere guarito da qualche malattia grazie a loro e si mise a costruire chiese in suo onore un po' dappertutto, Roma compresa. In Italia poi furono più tardi adottati come santi protettori dalla famiglia Medici, il che li rese una presenza ubiqua nelle pale d'altare. Uno dei miracoli più sensazionali attribuiti ai due medici è un trapianto di gamba che avrebbero effettuato un secolo dopo la loro morte, su un diacono chiamato Giustiniano che soffriva di cancrena: nel sogno vide i due chirurghi operarlo e quando si svegliò, in effetti aveva una gamba nuova; ma siccome i fratelli avevano adoperato la gamba di un africano, ora aveva due gambe di due colori diversi. Il donatore della gamba era appena morto, dice la tradizione: però a Valladolid, nel collegio di Santa Cruz, c'è un quadro del Cinquecento in cui l'africano non è affatto morto, ma piange di dolore mentre si tiene il ginocchio appena mozzato con la mano destra. Ora, queste sono illazioni che mi sento assolutamente di smentire. Cosma e Damiano erano due medici integerrimi, magari inclini a forme di sperimentazione che possono sembrarci bizzarre, ma mettevano al primo posto sempre il benessere dei pazienti e senz'altro non avrebbero amputato un africano per ottenere una gamba da montare su un diacono. Vergognatevi a pensare a queste cose di due medici così santi e così gratis – Cosma e Damiano, proteggetemi.
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Il coronavirus possiamo gestirlo, il burionismo forse no

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  • Com'è sempre imprevedibile la vita. Pensavamo che la fine sarebbe giunta dai no-vax, pensavamo che alla prima pandemia la loro sfiducia nella scienza ci avrebbe perduto, e invece eccoci qua con l'economia in recessione perché tecnici ed esperti alla Burioni hanno ritenuto prudente, dopo una manciata di casi, stravolgere la vita degli abitanti di cinque regioni tra le più popolose e produttive. Dove si vede come alla fine governare sia una questione di priorità: per ora il coronavirus è sostanzialmente innocuo a bambini e preadolescenti, mentre rappresenta un rischio per gli anziani settantenni. Indovina in quale nazione il governo stima necessario chiudere le scuole onde scongiurare il più possibile che i giovinetti contraggano il virus e poi lo trasmettano ai pensionati. Sarà, non casualmente, la nazione con più pensionati e meno lauree. Tutto questo forse otterrà il risultato di arginare un paio di focolai infettivi, e poi? Nel frattempo il virus gira per il mondo, lunedì il coprifuoco sarà tolto e saremo di nuovo punto di partenza, arrivo e transito per migliaia di cittadini del mondo, infettivi e non. In quel momento forse rimpiangeremo di aver bruciato in dispositivi di controllo un po' di risorse che si potevano destinare a potenziare i reparti di terapia intensiva. Questa più o meno è l'opinione di diversi esperti: col coronavirus bisognerà convivere, pensare di poterlo fermare ai confini è come credere di poter spalare l'acqua col forcone. Eppure ci sono motivi contingenti e non banali per cui il governo non ha dato retta a loro, per cui ha dato retta a chi proponeva quarantene e tamponi a tappeto, per cui ha dato retta a Burioni.
  • Ogni organismo è la risposta della vita a un determinato ambiente: Burioni è una creatura di Twitter. È in quell'habitat che si è evoluto, dimostrando notevoli capacità di adattamento. Il pesce palla sopravvive gonfiandosi, Burioni non reagisce in modo diversissimo: si tratta di ostentare aggressività. Senza i blastaggi, Burioni sarebbe rimasto uno tra i tanti cattedratici che twittano battutine a studenti e assistenti costretti a trovarle divertenti. Blastando è diventato un comunicatore e un influencer e non ha molto senso immaginare che smetta proprio ora. L'unico vero motivo per cui vince la sua linea, invece di quella di un'Ilaria Capua, è che Burioni morde (o per meglio dire mostra i denti: la violenza verbale dell'internet essendo più teatrale che pratica). Non si tratta di un approccio puramente istintivo, o meglio negli ultimi anni Burioni ha tentato in qualche modo di intellettualizzarlo, arrivando a citare uno o più studi che a suo avviso avrebbero dimostrato quanto l'approccio aggressivo risultasse efficace contro no-vax e in generale erogatori di fake news. D'altronde non dev'essere molto difficile trovare almeno un paper che giustifichi qualsiasi nostro atteggiamento sociale, e insomma Burioni si è almeno preoccupato di trovarne uno che spiegasse quel suo bullismo che tanti ammiratori e gregari gli ha procurato su Twitter (uso "gregario" nel senso che ha nella pedagogia dell'età evolutiva: l'aiutante/mandante del bullo). E così come a un certo punto il DDT è diventato più pericoloso dei parassiti che uccideva, oggi il burionismo sta iniziando a rivelare costi sociali forse non più sopportabili nel medio-lungo termine.
  • Oltre al Burioni comunicatore, esiste il Burioni epidemiologo. Sul piano professionale, Burioni è essenzialmente un tecnico con una visione estremamente settoriale, profonda ma limitata. C'è un problema, Burioni conosce la soluzione. Il fatto che questa soluzione possa costare alla collettività più del problema è già cosa che non gli compete, e anzi lo innervosisce (ed è un nervosismo apparentemente simile a quello di un altro competentissimo tecnico, Bagnai, ben disposto a mandarci in malora per dimostrare le sue tesi). Non ha nessun senso aspettarsi da tecnici settoriali una riflessione più ampia sui costi sociali di una settimana di quarantena. Non ci devono pensare loro: ci dovrebbe pensare una classe dirigente colta e competente. Non l'abbiamo.  
  • Non l'abbiamo. Il governo è debole, sotto lo scacco di un'opposizione che ritiene di avere il diritto di pompare qualsiasi allarmismo senza limiti di buon senso, decenza e logica: e siccome nessuno glielo contesta davvero, questo diritto, in pratica Salvini e compagnia ce l'hanno davvero. Possono lanciare giorno e notte le più criminali bugie, ma ehi, libertà di opinione. In parte è un gioco delle parti: l'opposizione dovrebbe alzare l'allarmismo, le forze di governo dovrebbero schiacciarlo energicamente dando prova di serenità e competenza. Ma, ecco, sta funzionando? Continuiamo a vedere in tv e sui social personaggi che sono più pericolosi del coronavirus: persone che dicono il falso per il solo scopo di impaurire e disorientare il prossimo, e pensiamo che abbiano tutto il diritto a stare lì e intascare stipendi e gettoni di presenza. Sono passati due anni da quando in qualche ufficietto o redazione qualcuno si inventò la bufala degli africani che avevano ucciso una ragazza tossicodipendente per mangiarla: chi ha inventato quella cosa (che fece vincere le elezioni a Salvini), chi l'ha scritta è ancora al suo posto e ci sta già dicendo che il virus è uscito dal laboratorio, o che ce lo porteranno i cinesi o gli africani. 
  • Aggiungi che il resto della stampa è in crisi terminale, e cavalca l'allarmismo come l'ultimo cavallo sopravvissuto alla battaglia: per cui qualche coda nei supermercati diventa, inevitabilmente, l'assalto ai forni. Il nostro sistema mediatico sembra davvero gestito dal pilota automatico di Airplane 2, quello che scandisce "Ok panic" mentre il pilota tenta di calmare i passeggeri. Tutto questo nel medio-lungo termine ci farà più danni del coronavirus, così come durante una scossa di terremoto il panico può danneggiare i fuggitivi molto più delle vibrazioni delle strutture.

  • Siccome non ci è concesso di rinunciare all'ottimismo, propongo di trattare tutta questa surreale vicenda come una forma di vaccino, in vista delle emergenze più serie che verranno da qui in poi. Perché anche se questo coronavirus non è la peste nera che i giornalisti temono (magari con la segreta speranza di sopravvivere a un'ecatombe di colleghi e concorrenti), non è affatto detto che lo sia il prossimo, o qualche altro antico virus o batterio riemergente dallo scioglimento dei ghiacci plurimillenari. Nel frattempo, com'è noto, stiamo finendo gli antibiotici. E in ogni caso il riscaldamento globale è una realtà con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni. Per cui sì, l'apocalisse è rimandata, ma adesso sappiamo che dobbiamo lavarci le mani venti secondi, e non precipitarci al pronto soccorso, tossire nelle maniche ecc. ecc.. Tutto questo potrebbe risultarci molto utile domani. Ma allo stesso tempo non si può nemmeno escludere che domani la signora con la falce venga per bussare alla nostra porta e la trovi spalancata, semplicemente perché nel 2020 abbiamo sprangato scuole e uffici per una settimana e poi ci siamo resi conto di aver buttato via tanti soldi per niente. E insomma si sa che gridare al lupo troppo spesso ha le sue controindicazioni.
  • Vorrei aggiungere che, per quello spicchio limitatissmo di Italia che posso vedere, il mio Paese non è in preda al panico, e nessuna sceneggiata su instagram mi farà cambiare idea su questo. Ho visto medici, studiosi, insegnanti, persino pazienti gestire questa emergenza con professionalità e garbo, senza perdere troppo tempo a domandarsi se avesse un senso l'emergenza in sé, dato che il loro mestiere consiste nel gestire i problemi, non nel farsi le domande. Lo stesso varrebbe anche per me, ma è da tre giorni che sono a casa, abbiate pazienza, come facevo a non scrivere qualcosa. Fatevi coraggio che siete grandi, lavatevi le mani e ci vediamo.
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La martire aveva mille denti

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9 febbraio – Santa Apollonia martire, invocabile contro il mal di denti


Apri grande, non ti faccio male
[2013]. A un certo punto – eravamo già nel Settecento – i denti di Sant’Apollonia in giro per la cristianità erano così tanti che persino il papa (Pio VI) decise di farla finita: se li fece consegnare, li chiuse in un baule che a detta degli osservatori pesava diversi chili, e li gettò nel Tevere. Erano probabilmente svariate centinaia. D’altro canto un dente è una reliquia perfetta: facile da trovare e da conservare. Commerciare denti è intuitivamente più semplice di trafficare clavicole. Mancava ancora più di un secolo alla messa in commercio dei primi analgesici.

E pensare che l’Apollonia vera di denti probabilmente ne aveva ben pochi. Se mai è realmente esistita; ma rispetto ad altre martiri del terzo secolo la sua storia appare più verosimile. Molto prima di diventare la giovane principessa standard insidiata dal re cattivo, nel primo resoconto di Dionigi di Alessandria, Apollonia era una vecchietta. Non fu vittima di una persecuzione imperiale, ma di un linciaggio durante uno di quei tumulti che opponevano comunità religiose diverse nella metropoli egiziana, milleottocento anni fa come oggi. I denti li avrebbe persi durante la colluttazione; le tenaglie vengono aggiunte dopo dalla fantasia popolare.

In virtù del doloroso incidente Apollonia si assume il patronato del mal di denti, che la renderà una delle sante più invocate per più di un millennio. Entra quindi a far parte dei quattordici ausiliatori, una specie di prontuario medico medievale che prescriveva Sant’Acacio contro l’emicrania, Santa Barbara contro la scossa, San Biagio contro il male alla gola, Santa Caterina d’Alessandria (che non tace mai) contro le laringofaringiti, San Ciriaco contro le ossessioni diaboliche, San Cristoforo contro la peste, San Dionigi contro i dolori alla testa, Sant’Egidio contro le crisi di panico, Sant’Erasmo contro i dolori addominali, Sant’Eustachio contro le scottature, San Giorgio contro le dermatiti, Santa Margherita per partorire senza problemi, San Pantaleone per morire senza troppe sofferenze, San Vito contro l’epilessia.

Il caso di Apollonia è particolare per un altro motivo: dopo averle fatto cadere i denti – e preparato già il falò – i suoi persecutori le proposero infatti di rinnegare la fede cristiana, bestemmiando un po’, la solita procedura. A quel punto Apollonia si fece slegare e si gettò da sola, volontariamente, tra le fiamme. Il che creava qualche perplessità anche negli antichi padri della Chiesa: un conto è desiderare il martirio, un conto è procurarselo da soli, la sfumatura è importante. Agostino in particolare si mostra un po’ scandalizzato dalla prospettiva che le martiri facciano tutto da sole senza chiedere aiuto ai maschi.

Apollonia è copatrona di Catania (la città delle tenaglie) e patrona di Cantù, di Ariccia e di tutti noi, ogni volta che sentiamo la testa vibrare in risonanza col trapano, e ci sembra di avere mille denti, e ce li faremmo togliere tutti.
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La ballata di San Vito

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15 giugno – San Vito (♱303, patrono di un sacco di posti e di 34 categorie professionali, invocato in tutte le patologie che contemplano convulsioni). 

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Vito era un bambino agitato, alzi la mano chi non lo è stato. Il padre gli diceva: vuoi star fermo? Non è che se smetti di correrci non si chiama più corridoio. E quelle sono posate, non bacchette del tamburo. Ce la fai a star seduto mentre mangi? T'ha punto un ragno, t'ha morso un serpente, si può sapere cos'hai? E Vito, sempre: Scusa papà!, perché alla fine era un bambino perbene: ma non lo tenevi neanche con le catene.

"Un giorno io chiamo Diocleziano e gli racconto che sei un cristiano".
"No papà dai, non lo farò più".
"Non farai più cosa?"
"Non lo so, cosa stavo facendo?"

Vito faceva il distratto, alzi il piede chi non l'ha mai fatto. Perché in verità era cristiano sul serio: l'aveva convertito il suo maestro, che poi era San Modesto. E non aveva ancora finito di asciugarsi dall'acqua del battesimo che si era già messo a fare miracoli a destra e a manca; ora si capisce che un santo i miracoli ogni tanto li deve fare, ma Vito proprio non se li teneva, gli scappavano da tutte le parti. Ti guariva la psoriasi anche solo a guardarlo da lontano, anche solo a pensarci. San Modesto gli diceva: ti vuoi calmare? Hai tolto la rabbia all'intero canile, vuoi mandare sul lastrico i veterinari? Non c'è più un caso di encefalite da Praga a Mazara del Vallo: e i dottori che cosa faranno? Anche Cristo si è fermato a Eboli: tu dov'è che pensi di andare? E Vito, sempre: scusa Modesto! perché alla fine era un bambino onesto: ma niente da fare, come si voltava ricominciava a mollare miracoli dappertutto.

"Guarda che arriva Diocleziano, guarda che scopre che sei cristiano".
Difatti un bel giorno arrivò, lo processò e lo condannò. Ma Vito era un po' iperattivo, chi non lo è stato controlli se è vivo. Vuoi stare un po' fermo (gli diceva Diocleziano mentre lo immergevano nella pece bollente)? Non vedi che sporchi dappertutto.

"Guarda qui che macello, ci sono macchie di pece fino in Basilicata".
"Scusa Cesare".
"Augusto, io mi chiamo Augusto, Cesare è il mio vice. Ma a scuola non la studiate più la tetrarchia?"
"Non lo so, ho perso il diario".
"La solita scusa, anche mio figlio non fa in tempo a scriversi i compiti che..."
"Tuo figlio in realtà è indemoniato".
"Ti dirò che la cosa non mi sorprende affatto".
"Comunque l'ho guarito".
"Meno male, adesso se non ti dispiace potresti smettere di accarezzare quel leone?"
"Ma perché? È così carino".
"Non è carino, è una belva feroce, è anche paurosamente magro, non mangia da una settimana, l'abbiamo liberato in questa arena affinché ti morsichi a morte e tu gli stai facendo i grattini dietro alle orecchie".
"Senti che fusa, senti".
"Va bene, ho capito, portate via il leone, proviamo col supplizio del cavalletto. Io non li sopporto questi cristiani. Han così tanta voglia di morire e poi alla prova dei fatti non muoiono mai. Li immergi nella pece e non si scottano, liberi i leoni e fanno le fusa. Abbassi la scure e la scure rimbalza. Li lanci dalla finestra e s'involano con gli angeli, ma che razza di religione è. Se proprio ci tieni a morire, non puoi star fermo un attimo e aspettare che ti ammazzino? E adesso cosa c'è? Cosa dice il boia?"
"Cesare, si dimena troppo, non riusciamo ad appenderlo".
"AUGUSTO! MI CHIAMO AUGUSTO! È da vent'anni che ho implementato questa cazzo di tetrarchia e ancora i sottoposti non sanno come chiamarmi ma dico io, le leggete le circolari?"
"Ma Maestà..."
"Non si dice Maestà, non siamo in una fiaba medievale, questo è l'impero romano e io devo essere chiamato Au-gu-sto, Au-gu-sto, Gaio Aurelio Valerio Diocleziano per i biografi. E il cristiano nel frattempo che fine ha fatto?"
"Credo che si sia involato con gli angeli".
“No vabbe’. Io esco. Vado a Spalato a coltivare i cavoli, con vent’anni di contributi da imperatore credo di potermi permettere una villetta in campagna”.

L’angelo aveva portato San Vito alla foce del fiume Sele, dove fece giusto in tempo a morire a causa delle torture, e salito in paradiso cominciò a tormentare anche i santi. Ma vuoi stare un po’ fermo? gli diceva San Simeone Stilita. T’ha morsicato un serpente? gli chiedeva San Patrizio. Qua bisogna dargli qualcosa da fare, propose Sant’Isidro contadino. Buona idea, pensò San Pietro: “Vito, ti va di proteggere i farmacisti? Non hanno ancora un patronato, potresti pensarci t–”

“Fatto”.
“Come fatto”.
“Li ho protetti, capo”.
“Ma ti ho detto di farlo due secondi fa”.
“Controlla”.
“Sì vabbe’ ma scusa non si fa così, non te l’ha spiegato San Modesto? Bisogna avere anche un po’ di rispetto per i santi che ci mettono più tempo”.
“Scusa hai ragione, prova a darmi un altro patronato”.
“Eh vabbe’, così, su due piedi… Gli albergatori”.
“Ok”
“Ok cosa vuol dire? Li hai già protetti?”
“No, no, ci sto lavorando”.
“Non fare il furbo con me”.
“Ti giuro capo, non ho già finito, ci sto mettendo più tempo, guarda”.
“Ci hai messo tre secondi in più, Vito, dai, non è una cosa seria”.
“Ma che ci posso fare? Sono nato così”.
“Non c’è nessuna gloria nell’essere nati, io per dire ero nato pescatore. Bisogna sforzarsi un po’, inventarsi qualcosa. Sennò sembriamo palline scagliate dalla racchetta di Dio. Almeno un po’ di effetto, un po’ di libero arbitrio; Dio t’ha fatto tondo? Prova a metter fuori gli angoli. Se Dio ti ha creato veloce tu almeno prova a rallentare”.
“Ma se Dio mi ha creato in un modo…”
“Di sicuro non era per vederti finire nello stesso modo. Dio ama le sorprese”.
“Ma se è onnisciente”.
“Esatto, ama l’unica cosa che non può avere davvero. È per quello che ci somiglia tanto. Ma cosa puoi capirne tu, sei solo un bambino. E probabilmente lo resterai. Ma fa una cosa: proteggimi i birrai, tu che non bevi mai”.
“Protetti”.
“E i bottai”.
“Fatto”.
“I muti e i sordi, tu che non taci mai”.
“Protetti”.
“Gli abitanti di Sapri e di Rijeka già Fiume, in Croazia. Gli idrofobi e i letargici – proprio tu che non dormi mai”.
“Ok”.
“Sei uno spasso, Vito, non invecchiare”.
“Capo, non credo di poterlo fare”.

Vito era un bambino complesso, chi non lo è stato può alzarsi adesso. Batti quel piede, batti la mano, danza con Pietro e con Diocleziano. Tu che se vuoi riesci a stare seduto (e per questo ai maestri sei sempre piaciuto); che se ti dicono “fermo” tu stai; ma io dico “balla”, e tu ballerai. Tutta la notte finché, sfinito, non ti verrà a salvare San Vito. Lui fa in un attimo, stende la mano: su te, su Pietro e su Diocleziano. Così saprai come ci si sente, a non poter star mai fermi per niente: a sentirsi bruciare le ossa, mentre i nervi ti danno la scossa. E avrai pietà anche di quel cristiano: e pietà per Pietro, e per Diocleziano.
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L'invenzione del secolo

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"Buongiorno signor farmacista".
"Buongiorno, in cosa posso esserle utile?"
"Vorrei un placebo".
"Eh?"
"Non sa cos'è un placebo?"
"Certo che so cos'è".
"Sull'enciclopedia c'è scritto che il placebo è una terapia o una sostanza prive di principi attivi specifici, ma che sono amministrate come se avessero veramente proprietà curative o farmacologiche".
"Le ho detto che so bene cos'è un placebo".
"E quindi me ne potrebbe dare uno? Ho il mal di testa".
"Ma io non vendo placebo. Io vendo medicine".
"Ma sull'enciclopedia c'è anche scritto che lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento può migliorare".
"Lo so, ma non sono medicine. Io ho una licenza per vendere medicine. I placebo sono... boh, in molti casi acqua e zucchero. Se vendessi acqua e zucchero sarei un truffatore".
"Ma l'acqua e zucchero non fanno male a nessuno".
"Non fanno né male né bene, non sono un farmaco, non posso venderli".
"Eppure un sacco di gente ne trarrebbe giovamento!
"No, perché sulla sua enciclopedia, se controlla, c'è scritto lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento può migliorare ma solo a condizione che il paziente riponga fiducia in tale sostanza o terapia".
"E che significa?"
"Significa che un placebo funziona solo se non sai che è un placebo".
"Ahi".
"Quindi se lei entra e mi chiede un placebo, e io le vendo un placebo, e lei assume il placebo, non le succede niente, perché lei sa benissimo che è un placebo".
"Comincio a capire. Ma..."
"Ma cosa?"
"Non possiamo rifare la scena? Io adesso esco, lei riempie uno dei suoi boccettini di acqua e zucchero, io invece di chiederle un placebo le chiedo una medicina per il mal di testa e..."
"Non è così che funziona. Lei non ha la memoria di un pesce rosso".
"A volte mi piacerebbe".
"Non è abbastanza stupido, se mi consente".
"Aspetti, forse un sistema c'è".
"E l'ha trovato lei? I farmacisti si dibattono in questo paradosso da migliaia di anni, poi arriva lei..."
"Allora io adesso esco, poi entro e le chiedo un farmaco per il mal di testa, e lei mi fa trovare un boccettino con uno di quei nomi strani sulla scatola e..."
"...ma le ho già detto che non..."
"...e un prezzo esagerato".
"Ma che c'entra il prezzo?"
"Non so spiegarglielo, ma il prezzo funziona. Quando vado a comprare, non so, i pantaloni, vedo robe che mi sembrano stracci immondi, ma poi do un'occhiata ai prezzi e... comincio a vederli in un modo diverso. Dopo un po' li compro".
"Conosco il fenomeno, ma è completamente irrazionale".
"Può darsi, però funziona, capisce? Esco e mi sento elegante. Se funziona coi vestiti perché non dovrebbe funzionare con l'acqua zuccherata?"
"Quindi adesso io prendo un flacone e ci metto dell'acqua e..."
"Lo zucchero poco mi raccomando".
"Poi ci scrivo un nome strano e ci appiccico un prezzo alto".
"Io nel frattempo faccio il giro dell'isolato e torno qui".
"Senta, non funzionerà. Forse con le braghe, ma il mal di testa..."
"Facciamo la prova. Se funziona mi sarò curato il mal di testa senza medicine".
"Ma avrà speso gli stessi soldi..."
"E lei diventerà ricco! Venderà acqua e zucchero al prezzo di una medicina costosa. Ci pensi".
"Le dico che non funzionerà. La gente non è stupida".
"No, mediamente non lo è. Però sta male".


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Renzi e il futuro (dell'umanità)

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Edge of Tomorrow (Doug Liman, 2014)




Emily Blunt è l’”Angelo di Verdun”, e per tutto il film non fai che chiederti: ma perché sbarcate in Normandia se avete già vinto a Verdun? Cioè guardate che non ha senso.


Presidente, mi scusi l'intrusione, per favore non suoni l'allarme che si trova nel cassetto destro della scrivania. Non urli nemmeno, la prego, ho già neutralizzato sia Antonio che Pasquale. Sì, conosco i nomi di battesimo dei corazzieri. Ora se mi lascia raccontare la mia storia - premetto che all'inizio le sembrerà assurda, ma poi vedrà che tutto quadra. Ah, tra cinque secondi squillerà il telefono. È Clio che vuole sapere se pranza con lei. C'è il polpettone. Dica di no, che ha un impegno importante.

Presidente, è il sei novembre 2011, lo spread è alle stelle e lei ha appena ricevuto una telefonata di Silvio Berlusconi che la informa, che ha intenzione di rassegnare le dimissioni. Da qui a un mese Lei scioglierà le Camere. Come posso saperlo? Lo so perché vengo dal futuro. Un futuro possibile, diciamo. In questo futuro, l'Italia è distrutta. È il focolaio di una spaventosa epidemia di influenza che ha già contagiato Europa e Africa. Russia e Cina stanno pianificando di invadere il continente ormai disabitato e spartirsi le risorse, ma non hanno fatto i conti con una mutazione del virus che farà altri miliardi di morti nei loro paesi. Tutto questo - mi creda, la prego - comincia oggi.

Tom legge +eventi! e sta facendo proprio quello che gli
avevo chiesto un anno fa
: un film di fantascienza all'anno
- giocando sempre sulla sua immagine, ormai, di replicante
di sé stesso. Edge of Tomorrow non ha i guizzi artistoidi
di Oblivion, ma ti cattura dal primo minuto all'ultimo
senza mai cadute banali.
Tra qualche giorno Lei scioglierà le Camere e indirà nuove elezioni in febbraio che saranno vinte di misura dal PD di Pierluigi Bersani. Per rassicurare i mercati internazionali, Bersani sarà costretto a misure impopolari. Reintrodurrà l'Ici cambiandone il nome, eccetera. Tutto questo è già ampiamente prevedibile, Presidente; ma quello che non avete previsto è l'ondata di rabbia che incuberà nel Paese e trionferà nelle elezioni del 2016, portando il Movimento di Beppe Grillo al 60% - non cominci a ridere come fa tutte le volte, la prego, la prego, potrei avere una di quelle golia che tiene nella ciotola sul comò? Grazie.

Sarà una vera e propria rivoluzione. Il suo successore, Romano Prodi, verrà messo agli arresti con l'accusa di alto tradimento. I Cinque Stelle - so che adesso sembrano inoffensivi, ma non idea di quanta rabbia incuberanno nei prossimi anni - ci sarà una frangia anarconaturista che prevarrà sulle altre e, non appena al potere, renderà tutti i vaccini facoltativi e non mutuabili. Due anni dopo arriverà dall'Anatolia un virus particolarmente virulento, formato da cellule con una singolare proprietà atomica - quantistica, se solo avessi mai capito cosa significa - non sono io il medico, io sono la cavia del suo esperimento - insomma questi virus riescono a spostarsi nello spazio-tempo - cioè: tutti ci spostiamo nello spazio-tempo, ma loro si muovono in modo, diciamo, meno banale. Questo li rende molto virulenti, perché da lunedì possono contagiarti anche se tu occupi lo stesso spazio il martedì, mi capisce?

Il mio amico dott. Arci è però riuscito a coltivarne un ceppo tutto particolare e me lo ha inoculato. Questo succede tra dieci anni, secondo il vostro calendario. Tremilacinquecentosettantadue anni fa, secondo il mio tempo personale. Deve capire che io, dopo che Arci mi inocula il virus, mi risveglio nel 6 novembre 2011, trovo una scusa, prendo un treno, arrivo qui al Quirinale, e il più delle volte mi faccio ammazzare da Antonio o Pasquale mentre cerco di entrare qui a discutere con lei. Altre volte invece mi prendono vivo, scambiamo due chiacchiere e poi mi ammazzo io per non perdere tempo. È come in un videogioco dove ogni volta devi cominciare da capo... o quel bel film di Tom Cruise, ha presente? No, certo che no, non è ancora uscito. Allora facciamo così: è come il Giorno della Marmotta, con quel bravo attore americano, Bill Murray, che ogni giorno si sveglia nello stesso posto: ecco. Soltanto che io devo salvare l'umanità, tutte le volte, e non ci sono ancora riuscito, e comincio ad avere un'età, capisce?

Tremilaseicento anni, perdio (continua su +eventi!)

Mi affascina il solo fatto che per migliaia di anni non abbiamo mai scritto o letto una sola storia su un loop temporale; poi nel 1993 è uscito Groundhog Day, e da lì in poi la si trova dappertutto, anche negli special natalizi di Paperino. A dire il vero Richard A. Lupoff scrisse un racconto con un loop temporale nel 1973, ma ha rinunciato a fare causa.
Allora, mi creda pure pazzo, ma mi stia ad ascoltare. Chiami Mario Monti. Nel giro di una settimana lo nomini senatore a vita. No, non è lui che salverà l'Italia e il mondo, decisamente no. Ma servirà a prendere tempo. Governerà per un anno, con una squadra di tecnici. Faranno scelte ovviamente impopolari, ma almeno non le caricheranno unicamente sulle spalle del PD. Poi andremo a votare, prima che il Movimento di Grillo abbia il tempo per ottenere la maggioranza assoluta.

Chi vincerà? Ha un'importanza relativa. Posso dirle che ormai le abbiamo provate tutte. Se rivince Berlusconi lo spread schizza a mille, caos, rielezioni, vince Grillo, game over. E io mi risveglio il 6 novembre.

Se vince Bersani, gli mancano comunque i numeri per fare un governo solido. Deve allearsi con Berlusconi in cambio dell'immunità. Dura comunque un paio d'anni e poi caos, rielezioni, Grillo, game over.

Ho anche provato Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze, ha presente? Ma certo, ha fatto una leopolda pochi giorni fa, beh, una volta mi sono detto: proviamo. Gli ho fatto vincere le primarie contro Bersani. Poi è andato alle elezioni, ha vinto di poco e ha ottenuto più o meno lo stesso risultato di Bersani: alleanza con Berlusconi, misure impopolari, caos, game over. Le giuro che le ho provate davvero tutte. Sono tremilacinquecentosettant'anni che ci sto provando, capisce?

Ora le spiego la strada più promettente che mi sono aperto fin qui, e per favore non scuota la testa come fa sempre. Ci teniamo Mario Monti per un anno, e poi il Pd vincerà con Bersani, ma di poco, di pochissimo. Infatti dopo più di un mese di trattative lei l'incarico lo darà... non rida... a Enrico Letta. Sì, glielo darà lei, che nel frattempo sarà rieletto presidente - è l'unico modo, mi dispiace - Oh, certo, lei si sente stanco, lei. Vuole sapere come mi sento io dopo tremilaseicento anni?

Alla fine è rimasto un film giapponese - benché non ci sia un solo giapponese nel film - come il romanzo illustrato da cui è tratto: un inno ai kamikaze, a dare la vita per la causa suprema, eccetera. Con un finalino hollywoodiano appiccicato malamente che si può perdonare (Lei ci crede un sacco, ha fatto preparazione atletica sul serio).

Nel frattempo Renzi prosegue la sua scalata al partito, senza neanche partecipare alle elezioni. È l'uomo nuovo, capisce. A fine 2013 vince le primarie, diventa segretario del PD, apre a Berlusconi sulle riforme. Solo in quel momento io e lei lo contattiamo e gli raccontiamo tutta la storia, e lo obblighiamo a sostituire Letta a Palazzo Chigi. Sarà una cosa un po' brusca ma non c'è nessuna alternativa. A fine maggio ci sono le europee e Grillo deve perderle. Quindi Renzi deve vincerle, capisce?

So che ha capito. Questa discussione, l'abbiamo fatta migliaia di volte e mi creda, la conosco meglio di chiunque... come dice?

Cosa succederà dopo che Renzi ha vinto alle europee?

Eh, saperlo.

Vede, non ne ho la minima idea. È una cosa che fin qui non è ancora successa. Mi son detto: proviamo anche questa.

Adesso chiami Mario. No, nell'agenda ha il numero dell'università, ma a quest'ora è al ristorante. Deve chiamarlo al cellulare. Le do il numero. Sì, lo so a memoria.

Edge of Tomorrow è davvero un bel film d'azione con Tom Cruise ed Emily Blunt che sparano a ragni giganti negli esoscheletri. Lo trovate dappertutto: in 2d al Cityplex di Alba (17:00, 19:45, 22:00); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:00, 15:15, 17:30, 18:00, 20:00, 21:00, 22:35); al Fiamma di Cuneo (17:30, 20:00, 22:35); al Multilanghe di Dogliani (17:30, 20:45); ai Portici di Fossano (16:15, 18:30, 21:15); all'Italia di Saluzzo (16:00, 18:00, 20:00, 22:20); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:10, 20:20, 22:30); in 3d al Vittoria di Bra (17:30, 21:00). Buona visione!
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Il virus dell'ignoranza e i suoi vaccini

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Ma anche se fosse vero. 


http://www.summagallicana.it/Volume2/B.XVIII.04.2.htm
A differenza di quanto possano aver capito il Codacons e la procura di Trani, la vaccinazione trivalente non causa l'autismo: possiamo dirlo con ragionevole sicurezza, dal momento che l'unico studio scientifico che cercò di dimostrare correlazione tra trivalente e un disturbo del comportamento fu pubblicato nel 1998 su Lancet da Andrew Wakefield, un ricercatore che era in conflitto di interessi, falsificò i dati in suo possesso e arrivò a inventarsi l'enterocolite autistica, una patologia che prima non esisteva e non esiste neanche adesso (vedi la ricostruzione di Menietti sul Post).

Wakefield è stato radiato dall'albo dei medici britannici, e Lancet ha cancellato dai suoi archivi l'articolo in questione. Quindi purtroppo i magistrati italiani non lo potranno acquisire: potranno invece dare un'occhiata alla sentenza dell'Alta Corte britannica che nel 2012 ha radiato Wakefield dall'albo dei medici e gli ha proibito di esercitare la professione. Se qualche dubbio dovesse sussistere gli stessi magistrati potranno volgersi al Giappone, dove la trivalente non si pratica più dal 1994: per coincidenza, è uno dei pochissimi Paesi industriali interessato da epidemie di morbillo - fenomeno raro nell'emisfero settentrionale, da quando sono stati diffusi i vaccini. Nonostante questo, i casi di autismo sono aumentati - all'incirca come nei Paesi dove almeno non si rischia l'orchite o persino la morte a causa del morbillo. Dunque, per quel che sappiamo fin qui, né la vaccinazione trivalente né altre causano l'autismo, e questo è tutto quello che dovrebbero dire al riguardo gli organi di informazione.

Su un blog invece, credo, ci si può concedere qualche margine di speculazione intellettuale, e proporre il seguente esercizio: ma mettiamo invece che sì. Non esistono prove, non esistono studi, non esiste nessun tipo di evidenza statistica. Ma fingiamo che ci sia: fingiamo che sia dimostrato che un bambino su cento, vaccinato con la trivalente o qualche altro intruglio, diventi autistico. Questo sarebbe un buon argomento contro il vaccino?

Dal punto di vista del genitore, ovviamente, sì: l'1% di rischio è di gran lunga superiore allo 0% che mio figlio correrebbe se non fosse vaccinato. Ma dal punto di vista della collettività? L'1% di autistici o una possibile epidemia? Anche qui la risposta credo sarebbe scontata, ma chi avrebbe il diritto di assumere un punto di vista del genere? La politica, ovviamente. Chi ci rappresenta dovrebbe avere chiara la situazione (che tanto chiara non è, se una bufala smontata dieci anni fa ancora mette in allerta una procura) e assumersi le responsabilità di una scelta così grave, ma in un certo senso obbligata. Questa scelta avrebbe grandi benefici e un costo terribile, che la collettività poi dovrebbe accollarsi, visto che è per salvare il 99% che quell'1% svilupperebbe una patologia. Eppure se così fosse (e non è così) il rischio di contrarre l'autismo sarebbe semplicemente una faccia della medaglia: sull'altra faccia ci sarebbe il rischio ben più alto di contribuire a trasmettere epidemie potenzialmente devastanti. Perché sempre più individui non riescono a vedere l'altra faccia? Risposta politica: viviamo in una società sempre più individualistica, abbiamo perso di vista ogni riferimento comunitario (lo Stato, l'Europa).

È il caso di ricordare che in tutto il mondo, più o meno civilizzato, le epidemie stanno rialzando la testa: non solo a causa della diffidenza dei cittadini democratici verso i vaccini, ma per la maggior resistenza agli antibiotici. L'anno scorso a quanto pare negli USA le vittime di malattie infettive sono state il doppio di quelle degli incidenti stradali. E quest'anno a New York è tornato il morbillo.

A questo punto l'intellettuale immaginoso non può evitare il sospetto che anche la diffidenza postmoderna dei cittadini verso i vaccini sia a suo modo una epidemia, che viaggia attraverso l'informazione e che ha il suo ruolo nel grande disegno evoluzionistico: gli esseri umani sono troppi, lo sanno, e prima di devastare irreversibilmente il loro habitat reagiscono a questa consapevolezza in modo intuitivo, solo apparentemente egoistico, rifiutando di alzare una barriera immunitaria e condannando la prossima generazione a patire per malattie in teoria già debellate, come il morbillo.

La mia speranza è che queste forme di resistenza alla consapevolezza collettiva, a cui assistiamo in rete con sgomento, siano anch'esse una specie di vaccino: il politico che vuole vietare le punture o renderle tutte facoltative, il procuratore che vuole indagare, il giornalista-comico che in tv ci monta il caso, non sono che forme benigna di ignoranza, da inoculare ai nostri figli, a scuola, almeno una volta al mese. Quelli che si lasciarono terrorizzare dalla campagna pubblicitaria di Giacobbo per il suo libro sulla fine del mondo non crederanno più a nessuna minaccia d'apocalisse; quelli che ieri hanno creduto alle Iene su Stamina, oggi quel programma non lo guardano più, o con occhi diversi. Quelli che oggi ritengono di sapere che la trivalente causa l'autismo, forse domani ammetteranno di essersi sbagliati. Spero non siano necessari molti casi di morbillo per farli ricredere: spero che non sia necessaria la mia vita, o quella dei miei cari. Ma questa è solo una sciocca preoccupazione individuale.
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HIV Texas Cowboy

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Dallas Buyers Club (Jean-Marc Vallée, 2013).


Dottore, te lo dico un'ultima volta: posa quella siringa e lasciami andare. Non sono una delle vostre cavie fottute. Non è ancora mutato il retrovirus che si porterà Ron Woodroof nella tomba. Forse avete sentito parlare di Dallas Buyers Club come del film in cui un bellone di Hollywood riscatta un passato di orribili commedie romantiche in serie, perde millanta chilogrammi e si sistema in uno dei ruoli preferiti dalla giuria degli Oscar: il sieropositivo macilento ma non domo. E a questo punto magari in voi sta già suonando un allarme: film ricattatorio, buoni sentimenti, moribondi che si abbracciano con soprani in sottofondo. Disattivate quell'allarme. Dallas Buyers Club è un western. E Matthew McConaughey (che è sempre stato un ottimo attore; purtroppo le commedie romantiche pagano di più) è un vero Texas cowboy a cui puoi togliere tutti i chili che vuoi - gliene restano abbastanza per mandarti al tappeto. Gli sguardi che ogni tanto gli riserva il transgender Rayon (Jared Leto, anche lui memorabile) sembrano tradire il punto di vista del regista: troppo facile commuoverci con sieropositivi gentili o raffinati, oggi soffrirete e piangerete per un puttaniere omofobo che puzza di rodeo e vive in una baracca.



Voglio però ricordarti com’eri (Uno studio comparato delle locandine dei suoi film, da Cracked.com)
Com’è vero che la morte tira fuori qualcosa di diverso in ogni uomo. All’inizio del film Ron ha un mese di vita e potrebbe benissimo spenderlo in coca e spogliarelli. E invece lo ritroviamo in biblioteca davanti a un lettore di microfilm (la postazione internet degli anni Ottanta). Da spacciatore di sostanze “non approvate” a uomo d’affari, contro un nemico che è sempre meno l’Aids è sempre di più lo Stato, l’odioso tiranno che impedisce a ogni buon cittadino di curarsi e arricchirsi come vuole. Ron è talmente texano che a un certo punto chiede un’ordinanza restrittiva per il governo federale –  gli Stati Uniti d’America devono stare lontani dalla sua camera di motel!


Prima di diventare un film, Dallas è stato un soggetto proposto e rifiutato per vent’anni. Affinché la “storia vera” diventasse una storia vendibile, è stato forse necessario rendere Ron molto più cowboy di quanto non fosse l’originale: metterlo in groppa a un toro (benché appassionato di rodeo non ne cavalcò mai uno), togliergli la figlia, affinché in una scena topica rimpiangesse di non averne mai avute; enfatizzarne l’omofobia, tema caro a Vallée; e soprattutto mettergli contro l’intero Dallas Mercy Hospital, il ranch dove i malvagi dottori sperimentano intrugli nocivi per arricchire le multinazionali.


Le cose sono ovviamente più sfumate di così; persino nei titoli di coda si ammette con una certa onestà che l’AZT, il veleno che secondo Ron stava facendo una strage, è ancora oggi uno degli ingredienti del cocktail di farmaci che tiene in vita milioni di sieropositivi. E d’altro canto la macchina farmaceutica, vista dall’individuo, è davvero un Moloch spaventoso contro cui ribellarsi: Ron ha la sfortuna di ammalarsi nel momento in cui i sieropositivi cadono come mosche, le multinazionali stanno cominciando a sperimentare farmaci su di loro, e il rischio di accelerarne la morte è calcolato. Di fronte a un destino tagliato così male, Ron si ribella e ha almeno la fortuna di trovare la persona giusta: in una clinica messicana, un medico radiato ma ancora abbonato a Lancet, che gli fa provare il peptide T, non ancora approvato negli USA. Pensa se invece incontrava un Vannoni.


“Matthew McConaughey… GHIGNA
STUPIDAMENTE PER 90 MINUTI!”
“Esatto, è tutto quello che succede”
(NY Times). (Da Cracked.com).
In effetti quello che può lasciare disorientati alla visione di Dallas non sono gli aspetti ripugnanti dell’eroe – a quelli siamo abituati, al cinema e soprattutto in tv è una gara a chi ci propina l’eroe più moralmente discutibile. È che Dallas è un film che mette in discussione le istituzioni farmaceutiche; il che può avere un senso in generale, ma si adatta male al nostro essere spettatori italiani negli anni ’10, in una fase di particolare recrudescenza di santoni e ciarlatani. Almeno Ron non ha mai chiesto allo Stato di rimborsare i farmaci che trafficava.

Dallas Buyers Club è al Vittoria di Bra alle 20:15 e alle 22:30 e al Fiamma di Cuneo alle 21:10; francamente non so se resisterà oltre giovedì (magari poi torna nelle sale dopo gli Oscar). È il tipico film di nicchia che molti preferirebbero guardare in lingua originale. Non abbastanza per farlo programmare in una sala della provincia di Cuneo, questo si sa. Ma abbastanza per rendere la versione sottotitolata in streaming un’alternativa interessante, ancorché illegale. Come può difendersi la distribuzione italiana da una concorrenza così sleale? Magari una settimana dopo il debutto nelle sale americane si potrebbe mettere in commercio una versione on line sottotitolata: qualche spilorcio continuerebbe a rubare, ma molti pagherebbero volentieri anche sei o sette euro, come al cinema. Oppure si può lasciare tutto com’è, doppiare l’accento texano di McConaughey, e terrorizzare i potenziali ladri di contenuto con qualche spot terrorizzante all’inizio dei dvd. Se hanno scelto questa seconda strada si vede che funziona.
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Sai-Pio sale in cielo

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(2011)
Il mondo sarebbe girato diversamente se al piccolo Sai-Pio, nato in un piccolo villaggio delle province meridionali, i dottori non avessero diagnosticato un handicap inguaribile e mortale. La madre, che al termine di una gravidanza dolorosa e angosciante in lui aveva finalmente avuto l'unico figlio, lungamente desiderato, invece di arrendersi al responso dei medici, si recò con Sai-pio in pellegrinaggio al Sacro Monte, o al Sacro Fiume, le fonti discordano su tutto tranne che su un punto: che dalle acque (o dal digiuno nel deserto, o boh) Sai-Pio riemerse totalmente guarito, consacrato a Dio e nemico di ogni dottore e della scienza medica in generale. E siccome la gente veniva da lontano a vedere il miracolato – disposta anche a pagare qualche soldino che la madre, previdente, accantonava per il college – quella che negli anni dell'infanzia era una semplice avversione contro i medici che lo avevano voluto morto non tardò a diventare una fede, un'ideologia, una religione: non aveva ancora compiuto trent'anni e Sai-Pio già scriveva fulminanti editoriali contro le miserie della medicalizzazione, e denunciava la speculazione dei giganti farmaceutici, e aizzava i suoi seguaci contro i consultori, promettendo l'inferno a chi abortiva, un purgatorio doloroso a chi pretendeva di partorire con l'epidurale e così via, insomma, avete capito il tipo.

Un giorno che Sai-Pio era diretto a Damasco per un comizio contro la sperimentazione sulle cellule staminali, accadde un incidente. Stava procedendo a velocità di crociera quando una luce improvvisa lo accecò. Fece appena in tempo ad accostare sulla corsia di emergenza, e non vi dico quanti numeri chiamò (il servizio assistenza della tim, i carabinieri, l'ora esatta) prima di azzeccare al buio la combinazione esatta dei tasti che lo mise in contatto con il Pronto Soccorso più vicino. Ricoverato d'urgenza, Sai-Pio fu visitato dai più importanti luminari del Paese, il cui responso anche stavolta fu unanime: il nemico dei medici aveva pochi mesi di vita davanti a sé.
“Amen, colleghi”, disse uno di loro, tra i più giovani. “Un bigotto in meno. A proposito, dov'è il suo Dio adesso?”
“Taci, imbecille”, gli rispose un anziano. “Non capisci in che guaio ci mette, il bigotto? Se non lo guariamo, saremo accusati di volerlo uccidere”
“Il che non sarebbe poi così sbagliato”, interloquì un terzo, “almeno nel mio caso... Quando ottenne la chiusura del mio laboratorio di ricerche, io ammetto di averlo voluto morto”.
“Ma non era ancora un tuo paziente. Comunque, non è solo un problema etico. La nostra diagnosi sarà presa per una condanna a morte, per un assassinio politico. Non possiamo permettercelo”.
“Sì, però quello morirà lo stesso”.
“Colleghi, sapete cosa ci vorrebbe qui? Un miracolo”.
“Peccato che non esistano. Anche se...”
“Anche se?”
“Ci sarebbe il dottor Asanta”.
“Quel matto?”
“Cosa abbiamo da perdere?”

Fu così che Sai-Pio fu condotto nella clinica sulla collina dove operava il dottor Asanta, figura molto controversa a causa della scarsa eticità dei suoi esperimenti.
“Ma guarda chi si vede, l'ammazza-abortisti”.
“Se ti riferisci alle recenti stragi nei consultori, le inchieste hanno totalmente escluso che io sia il mandante di quei fanatici che...”
“...che avevano tutti il tuo libro sul comodino. Vabbe', venendo al sodo, hai una forma abbastanza rara di cancro all'ipotalamo”.
“Sarà incurabile, immagino”.
“Per i comuni mortali sì, ma tu hai Dio dalla tua parte, o sbaglio?”
“Dio a quest'ora mi avrebbe già salvato. Ci sono altre vie?”
“C'è una sperimentazione che sto conducendo proprio in questo periodo. I risultati sono promettenti, ma... è molto cara”.
“I soldi non sono un problema”.
“Già. Ma visto che i tuoi soldi li hai fatti gettando quintali di fango contro la mia scienza...”
“Fidati che non puzzano, come diceva quello”.
“Sarò franco: preferirei continuare a sperimentare su scimpanzè, barboni e sequestri di persona finiti male piuttosto di intascare da uno come te. Ma ci sarebbe un'altra cosa che potresti fare per me”.
“Ma non mi dire”.
“Potresti convertirti alla scienza”.
“E cioè?”
“Una volta sceso da questa collina, potresti convocare una conferenza stampa e spiegare: Dio non mi ha salvato, la Scienza sì, quindi hai deciso di convertirti a quest'ultima e d'ora in poi girerai il mondo aizzando le folle contro chiese templi e sinagoghe, esortando i tuoi fedeli al controllo delle nascite mediante contraccezione e aborto, e devolvendo tutti i proventi delle tue crociate alla ricerca scientifica eccetera...”
“No, questo non succederà mai”.
“E perché?”
“Quello che mi proponi è di fare della scienza una religione”.
“E perché no?”
“Perché la scienza è una cosa, la religione è un'altra, e l'ibrido che ne salterebbe fuori disgusterebbe te per primo”.
“Può darsi, però non è giusto. Ogni volta che una madonnina o un fiume sacro salva qualcuno nasce una religione. Ogni volta che io salvo qualcuno – e fidati che ho una percentuale di successi che straccia qualsiasi madonnina...”
“Lo so, lo so”.
“...Non succede niente. Addirittura hanno la faccia tosta di dirmi che è stato Dio a muovermi le mani. 'sti disgraziati... Sette anni di facoltà, cinque di tirocinio, e poi altri vent'anni a sventrare e ricucire e sperimentare e diagnosticare e mandar giù anfetamine allungate con lo xanax, e poi se ti salvo la vita manco mi stringi la mano, no, t'inginocchi alla Madonnina di Sarcazzo, che a saperlo mi facevo prete, quattro anni di teologia e poi con cinque minuti di omelia hai già salvato la vita a milioni di embrioni... Scusa, ma dov'è la giustizia, eh? Dov'è?”
“La giustizia divina, intendi? Ma tu sei ateo, non dovresti pretendere...”
“Lo so, lo so, dicevo per dire, è che questa cosa mi fa così incazzare... non hai idea, guarda...”
“Ma non ti metterai a piangere, adesso... Dottor Asanta, ti chiedo scusa”.
“Snif, e perché?”
“Dai racconti dei tuoi colleghi mi ero fatto tutta un'idea mefistofelica di te. Vedo invece che sei un buon diavolo. E per questo ti faccio una controproposta”.
“Sentiamo”.

Mezzo secolo più tardi, quando alla fine Sai-Pio morì – di vecchiaia, nel suo letto – fu condotto davanti a San Pietro, che nel vestibolo dell'Alto dei Cieli è Giudice di Istanza Preliminare. “Sai-Pio, ho una buona notizia e una cattiva. La buona è che Dio c'è”.
“Non ne ho mai dubitato”.
“Certo, dicono tutti così quando arrivano qui. La cattiva è che è piuttosto laico”.
“Laico? E com'è successo?”
“Ah, dev'essere stata una depressione, intorno al Millecinquecento... non mangiava più, cominciava a dubitare di sé stesso... era in piena deriva solipsistica, finché non ha letto un po' di Cartesio. Da lì in poi si è fatto tutto l'Illuminismo, Newton, la scienza moderna... tutta roba sua”.
“Anche Einstein?”
“Guarda, lascia perdere, quello ci fece passare dei mesi orribili... per far funzionare le sue equazioni ci è toccato riprendere in mano lo spaziotempo e curvarlo, hai un'idea del casino? No, non ce l'hai”.
“Lasciami indovinare, io per lui sono un povero ciarlatano, o sbaglio?”
“Te lo posso dire, tanto ormai... ti stanno preparando un giudizio coi fiocchi lassù. Il principale ha messo insieme una giuria di tutto rispetto, Charles Darwin, Galileo, Giordano Bruno... quest'ultimo in particolare frigge dal desiderio di mandarti all'inferno”.
“Quindi esiste anche l'inferno”.
“Come no. Ed è pieno di bigotti, te lo devo dire. Io me la sono cavata, pensa, perché prima che il gallo cantasse ho dubitato, dimostrando indipendenza di giudizio”.
“Complimenti”.
“La stai prendendo bene”.
“Inutile angosciarsi. Ho diritto a un avvocato, almeno?”
“Un avvocato? In paradiso? Rifletti bene”.
“Ah già, che scemo”.

Il dibattimento fu lungo (nell'Eternità nessuno ha fretta). Davanti alla giuria l'Accusatore enumerò tutti i misfatti della vita di Sai-Pio, un'esistenza interamente consacrata a circuire il prossimo dietro la scusa di difendere la sua ignoranza dagli arroganti assalti della scienza. Sai-Pio non negò nulla, non avrebbe avuto molto senso davanti all'occhio di Dio.
“Sai-Pio, confessi di avere messo in scena più volte il miracolo della lievitazione?”
“Beh, sì, all'inizio era poco più di uno scherzo, ma alla gente piaceva...”
“Sai-Pio, confessi di avere finto di possedere le stimmate?”
“Devo dire che quell'eritema mi tornò molto utile”.
“Sai-Pio, con quante donne in stato di trance hai giaciuto, al fine di provocare in loro le cosiddette gravidanze miracolose?”
“Non ricordo, e poi non erano tutte le verginelle che dicevano di essere, cioè, contestualizziamo”.
“Sai-Pio, cos'hai da dire a tua discolpa?”
“Mah, niente. A parte che credo di essere uno dei più grandi benefattori dell'umanità. Ma non so se qui sia considerato un titolo di merito”.
“Tu? Un benefattore dell'umanità”.
“Uno dei più grandi, sissignore”.
“Un ciarlatano che simulava i miracoli? Un santone impostore che si faceva intestare i conti correnti dei giovani sprovveduti e delle vecchiette rincitrullite?”
“Già, e non dimentichiamo le frodi fiscali, ne ho commesse di astutissime”.
“E ciononostante ti consideri un benefattore”.
“Beh, avete dato un'occhiata ai bilanci dei miei ospedali?”
“Sono tutti truccati, ovviamente”.
“Sì, no, intendevo ai bilanci di vite umane che le mie cliniche, mirabilmente dirette dal primario dott. Asanta hanno salvato in questi cinquant'anni? Santissimi giudici, non so esattamente quali sono i metri con i quali qui si misura il bene o il male. Io per me ho stabilito questo principio empirico: è bene tutto ciò che concorre alla riduzione aritmetica del dolore. Dopodiché, sì, lo ammetto, per raccogliere fondi ho fatto il buffone. Ho finto un sacco di miracoli, perché è quello che la gente vuole. Ma le monete che la gente mi lanciava le passavo al dottore che faceva i miracoli veri. Ho salvato molte più vite, ho raccolto molti più fondi io, da ciarlatano, che tanti onesti uomini di fede o medicina con i loro ridicoli scrupoli morali piccoloborghesi. Sono stato un vero difensore della scienza, un mecenate”.
“E dovremmo salvarti per questo? Per il fine che giustifica i mezzi?”
“Non vi immaginavate che fossi così laico anch'io, eh?”

Il mondo sarebbe girato diversamente se al piccolo Sai-Pio, nato in un piccolo villaggio delle province meridionali, i dottori non avessero diagnosticato un handicap inguaribile e mortale...

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"Non so", disse la pensosa Verola, "morte ce n'è, sofferenza pure, ma manca quell'afflato violento che cercavo, l'odore del sangue che sgorga e scorre, del resto cosa aspettarsi da un prete".
"Ho fatto del mio meglio", osò rispondere don Tinto.
"Del tuo meglio? Andiam bene", commentò Arci. 
"Perché, cosa c'è che non va".
"Hai finito coi puntini di sospensione. Ripetendo il primo paragrafo. Un espediente da corso di scrittura creativa, primo anno".
"Senz'altro tu sai portare la punteggiatura a ben altre vette di originalità espressiva..."
"Non per vantarmi, ma..."
"Domani", disse l'assonnata Verola, "Arci ce lo dimostrerà domani sera. Adesso si va a nanna, ché domani mattina sul presto si va a fiocinare i pesci in via d'estinzione. E a pranzo, grigliata!"
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Mi si nota di più se mi accascio
"No, no, non ero arrabbiato. Ero stupefatto, poi ero sul palco, poi ho parlato. Ho parlato molto?". No, non molto, due minuti. "E cosa ho detto esattamente?"

Secondo me Moretti non voleva davvero. Non dico che non abbia fatto bene. Ma secondo me a quest’ora si sta dando pugni in testa per la stizza. Certe cose le pensiamo tutti, certe cose le diremmo tutti se ci facessero salire su un palco dopo un comizio di Fassino e Rutelli, però poi ci pentiremmo. Forse.
Dico forse, perché Moretti io non lo capisco bene. Con tanti amici che mi citano l’Autarchico a memoria, io l’unica volta che l’ho visto mi devo essere addormentato. Vero che certe sere a Santa Margherita avrei preso sonno anche con Die Hard 2, ma insomma, è un personaggio che non sento tanto mio. Anche questa barba integrale che mi è cresciuta adesso non c’entra niente, mi torna solo utile per simulare con gli studenti età mai vissute.

“Dovete sapere che quando io avevo la vostra età… più o meno dopo la terza guerra punica…”
“Ma prof, insomma, lei quanti anni ha?”
“Io ho tutti gli anni del mondo, Carbone”.
“Sembra giovane, però…”
“Perché mi nutro del sangue degli studenti importuni. Dicevamo: quando ero giovane io, figuratevi, internet praticamente non esisteva…”

Mi è tornato in mente Moretti per un altro motivo, tutto personale. Insomma, Giuliana aveva fatto questa festa e per telefono si era capito che ci teneva. Aveva chiamato un po’ di gente che conosciamo, ma io non sapevo bene come comportarmi. Sarà stata la tensione, lo stress di un pomeriggio impiegato in scrutini di ragazzi conosciuti una settimana prima, sarà stata qualche melanzana fritta o l’uvetta nell’insalata, insomma, la gastrite ha risolto tutti i miei problemi. Sono sprofondato prima sul divano, poi sul letto in fondo al corridoio, poi sul pavimento del bagnetto, poi di nuovo a letto, poi è venuta ora di salutare tutti e andare a casa.

Insomma: una serata perfetta. Anche perché ad accudirmi c’erano sempre un paio di ragazze che si turnavano, e quasi sempre erano ragazze molto importanti della mia vita, anche se non era obbligatorio. E io non dovevo atteggiarmi, non dovevo trovare discorsi: stavo disteso coi pantaloni slacciati e andavo bene così. Loro erano molto carine e molto materne, alcune mi toccavano la pancia, altre mi toccavano in generale.. Insomma: mi si nota di più se mi accascio in un angolo con la gastrite. Adesso che lo so, chi mi ferma più.
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